Ascolto di sè

Ascolto di sé.


...Rabbi Sussja [...] in punto di morte esclamò: "Nel mondo futuro non

mi si chiederà: "perchè non sei stato Mosè"; mi si chiederà invece: "perchè

non sei stato Sussja?"   Martin Buber - Il cammino dell'Uomo.



Dinanzi al problema della sofferenza psichica, a mio parere, i diversi approcci che offre la Psicologia possono essere raggruppati in due grandi categorie.


Da un lato, osserviamo una serie di tecniche e strategie che mirano alla risoluzione del sintomo, che viene visto come qualcosa di disturbante, da essere eliminato, in vista di un migliore adattamento della persona alle richieste del suo ambiente.  In molti casi, il sintomo è visto come un impedimento al buon funzionamento della persona, un ostacolo alla sua produttività; è qualcosa di sbagliato, ciò a cui si presta attenzione nella misura in cui ci fa sentire “anormali”, vale a dire “diversi” da una norma stabilita dalla società, oppure dà “fastidio” alla società stessa.


Spesso si tratta di interventi limitati nel tempo, vedi ad esempio le terapie brevi, le terapie strategiche, che prendono in considerazione il comportamento di una persona o le sue modalità cognitive, per agire su questi elementi al fine di modificarli.



In questo tipo di approcci, in molti casi, si tende a dare delle indicazioni o delle vere istruzioni su come il paziente dovrebbe comportarsi o pensare, su come egli dovrebbe affrontare e risolvere le proprie difficoltà. Alla base vi è l’idea che, cambiando gli schemi comportamentali o cognitivi, si possa indurre la remissione della sintomatologia della  persona e quindi la risoluzione durevole dei suoi problemi.

In questo caso, vedo il rischio di sottovalutare la soggettività del paziente e di operare “forzature” nei suoi confronti. Inoltre, come si è visto spesso, lavorare solo sul sintomo, serve in molti casi a spostare il sintomo ad un altro livello, a volte più grave, ma non a risolvere il problema sottostante.


Occorre tuttavia dire che, per molte persone, questo tipo di approccio può bastare ed è quanto esse ricercano.



Il secondo tipo di approccio psicoterapeutico, pur prendendo in considerazione il sintomo, lo inscrive però in un quadro più ampio, ravvisando in esso un simbolo che, se attentamente ascoltato, svela qualcosa di più profondo della persona.


In questa prospettiva, è la persona al centro del percorso psicoterapeutico, che deve essere, non modificata, né tantomeno “risettata”, ma aiutata a sviluppare capacità, già presenti, ma che devono essere portate alla luce.


Ciò comporta che il paziente sia disponibile a lasciar parlare e ad ascoltare le proprie emozioni, il proprio sentire, la propria esperienza ed il proprio vissuto,  e che sia disposto ad affrontare un viaggio verso l’ignoto, rappresentato dal suo essere più profondo,  in modo da favorire l’emergere di quel gesto creativo che lo farà uscire dalla situazione di difficoltà in cui si trova.


Al centro di questo processo c’è non più il concetto di modificazione, ma quello di trasformazione.


In questo caso, il lavoro psicologico mira a far sì che il paziente si senta autorizzato ad ascoltarsi, che sia cioè aperto ad accogliere il proprio modo di sentire, i propri bisogni affettivi, relazionali e anche spirituali, riconoscendoli e collocandoli nella propria storia personale. Questo tipo di lavoro consente, attraverso il riconoscimento delle proprie sensazioni, dei propri stati (corporei, mentali ed emozionali), di nominare il proprio vissuto ed i propri bisogni, di scoprire e riconoscere la propria unicità di essere umano e la propria complessità,  andando oltre la sintomatologia espressa, che è soltanto una piccola parte di un tutto infinitamente grande e tutto da scoprire.


Ecco che, in questa prospettiva, la malattia e la sofferenza psichica e morale non sono viste come il frutto di un difetto, di una tara, di un “peccato”, oppure un qualcosa da emendare o da cancellare, ma espressione de “l’oblio del proprio Essere”, cioè della propria natura più profonda. 

I sintomi che vorremmo sparissero, per consentirci di essere come gli altri e di meglio adattarci alle richieste che ci vengono fatte, se ascoltati attentamente, possono condurci a domande esistenziali cruciali per noi e possono metterci in contatto con il nostro Essere dimenticato.



Si tratta di acquisire, per tale via, la capacità di elaborare/rielaborare il proprio vissuto e di mettere ordine nella propria storia personale, di imparare a dare agli eventi e alle situazioni in cui ci si trova il loro giusto valore ed a collocarle nel loro giusto posto. Ciò genera un senso di saldezza e di quiete nel rapporto con il mondo esterno.   

Va detto anche che questo tipo di approccio consente di ottenere subito una sensibile riduzione dell’ansia e in generale del proprio malessere emotivo.


In questa ottica, può essere una valida risorsa l'uso della trance ipnotica, in quanto può aiutare il paziente ad attivare la capacità di evocare, verbalizzare, definire il proprio vissuto, al di là delle restrizioni che i normali processi cognitivi coscienti, basati sulla razionalità e filtrati dai meccanismi di difesa, pongono alla consapevolezza della propria esperienza. (vedi la pagina "IPNOSI").


Questo approccio si può definire "maieutico", in quanto pone il paziente al centro del lavoro psicologico nella soluzione delle sue difficoltà, lo rende soggetto attivo della cura e lo aiuta a trovare la sua propria verità. 


Quest’ultimo è l’approccio che privilegia la via dell'ascolto di sé nell’affrontare la sofferenza psichica. E' questo il modo in cui mi piace lavorare.


Sebbene questo orientamento possa apparire più filosofico che pratico, in realtà ha una sua validità terapeutica sconcertante,  che permette di affrontare le crisi di panico e di ansia in modo rapido, chiaro e, soprattutto, duraturo, in quanto, nella mia esperienza clinica e umana, empirica, ansia e panico sono il risultato di situazioni emotive e/o esistenziali che il soggetto non riesce in alcun modo a risolvere attraverso i normali meccanismi di difesa, razionalizzazioni comprese.  Vedi a questo proposito la pagina "PANICO" in Approfondimenti .



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La regola aurea su come scegliere un psicoterapeuta


E’ molto importante sapere che, in psicoterapia, più ancora che in tutte le altri arti mediche e sanitarie, il migliore indicatore per la buona scelta di un terapeuta e per la riuscita di un lavoro psicoterapeutico   è la qualità della relazione che il paziente stabilisce  con il terapeuta. Ciò è stato peraltro  attestato fin dagli anni '80 da numerose ricerche  sui fattori che possono influire favorevolmente  sulla riuscita di una  psicoterapia

Infatti, trovarsi bene ed a proprio agio con un determinato terapeuta, instaurare una buona relazione empatica è la principale premessa per  un lavoro fruttuoso. Vale a dire che una buona relazione con il proprio terapeuta aiuta ad attivare, fin dall’inizio, le risorse interiori che possono portare alla risoluzione dei problemi. Questo vale al di là dei titoli accademici, della tariffa professionale, dell'indirizzo teorico, del tipo di approccio,  dell’età del  terapeuta, della sua anzianità professionale, da dove ha lavorato o  dove lavora, ecc...


Quindi, a chi cerca un aiuto psicologico, consiglio di sentire inizialmente più professionisti e sceglierlo   solo dopo averci parlato e dopo averlo “testato” sotto il profilo della relazione, vale a dire osservare come ci si è sentiti dopo un primo incontro.  E' la qualità della relazione  che in prima battuta fa la differenza, non il "nome" o i titoli...