Il caso di F.

Il caso di F.


Mi telefona la madre di F, chiedendo un appuntamento per la figlia minorenne. Nel corso della breve comunicazione telefonica mi accenna soltanto che la figlia, una ragazza di 17 anni, da un po’ di tempo vive dei forti stati di ansia e di panico  e precisa che è stata la figlia stessa a chiedere ai suoi genitori di “avere un aiuto” e quindi  fisso un appuntamento alla figlia.

Al primo appuntamento mi faccio quindi presentare da F. il suo problema.

La giovane paziente frequenta il liceo scientifico; non ha difficoltà nello studio, gioca a pallavolo come attività sportiva e con i suoi coetanei, a quanto afferma, non ha problemi di rilievo.  Il padre è responsabile del settore giovanile di una squadra di calcio professionistica,  la madre è professoressa di scuola secondaria superiore e la paziente ha un fratello di anni 12.

F. afferma che da un paio di anni ha crisi di ansia molto forti e sempre più frequenti, che si verificano solitamente dopo un po’ di tempo che i suoi genitori non sono in casa. Le chiedo di farmi un esempio e mi dice che se i suoi genitori sono a fare la spesa e, secondo lei, tardano a ritornare a casa, vale a dire che la loro assenza si protrae oltre quanto lei aveva preventivato, allora inizia una forte crisi di ansia. Lo stesso accade se i genitori sono fuori la notte e in tutte le situazioni in cui i suoi genitori sono assenti.

Afferma di vivere queste ansie da un paio di anni circa. Sono ansie molto intense che possono sfociare a suo dire in vere e proprie crisi di terrore. Può non dormire la notte intera se i suoi genitori sono fuori. Tutto ciò la fa soffrire molto, è alquanto invalidante, e ha chiesto lei stessa ai suoi genitori di essere aiutata.

F. non è precisa sulla data di inizio delle crisi di ansia: dice che è “…da circa due anni, forse un po’ di più”. Alla domanda se c’è stato un fatto rilevante che ha preceduto questi attacchi  di ansia F., dopo un momento di ricerca nella sua memoria, risponde negativamente.

Continuo l’esplorazione della situazione di F., della sua vita, dei suoi rapporti familiari, ma non emerge nessuno fatto di rilievo. F.  sembra una ragazza equilibrata per la sua età, ben inserita nella sua famiglia, con nessuna rilevante difficoltà relazionale e anche con i suoi coetanei non emergono difficoltà  di rapporto.

Nel colloquio F. si esprime chiaramente, non evidenzia inibizioni a comunicare il suo pensiero, anche se noto un suo modo di essere concisa e succinta nell’esporre il suo problema e nel rispondere alle mie domande e l’espressione della sua emotività appare contenuta. Noto anche che F. mostra, per la sua età, una discreta capacità di auto osservazione dei propri contenuti psichici.

Decido per una regressione ipnotica  esplorativa nel corso dello stesso primo incontro.

Quasi subito si presenta un ricordo che lei situa verso i  4 anni, un ricordo che, lei sottolinea, “non ho mai dimenticato”. Aggiunge che non sa se l’evento di cui si ricorda possa essere in relazione con le sue crisi di ansia.

Si tratta di un incidente occorso durante un viaggio in macchina. Tutta la sua famiglia, genitori e nonni, era disposta su due auto; lei viaggiava nell’auto che seguiva, insieme ai suoi genitori e nell’auto davanti c’erano i suoi nonni, ai quali lei era particolarmente affezionata. All’uscita di una galleria l’auto davanti ha un incidente e i nonni muoiono sul colpo. 

Da piccola aveva praticamente sempre vissuto con i suoi nonni ed era molto affezionata a loro. Poi l’incidente  e, come dice nel suo stato di trance, “… da un momento all’altro non li ho più visti”. Precisa che non li ha più rivisti nemmeno dopo morti. Di colpo non ci sono più.  Con un gesto mima come se fossero stati cancellati. Osservo che il gesto di fatto non corrisponde alla sua attuale maturazione psicomotoria, ma corrisponde ad una gestualità più goffa, infantile.

Invitata a parlare, nello stato di trance, di cosa prova essendo lì, in quella situazione, racconta di come, in quei momenti e poi anche nei giorni successivi, nessuno si è accorto del suo malessere. C’è “come confusione attorno a me” e nessuno si occupa di lei che sta male. 

Le propongo di “intervenire” nella situazione creatasi dopo l’incidente, lei signorina di 17, per aiutare la F. bambina che sta male e la paziente accetta senza esitazione.

Chiedendo alla bambina cosa provava, riferisce che la bambina dice che si è sentita abbandonata dai nonni e si è ritrovata sola, ignorata e “abbandonata” anche dagli altri.

Le chiedo quindi di trovare quelle parole e quel modo di fare che potrebbe essere compreso e sentito dalla bambina come un aiuto ed un sollievo in quella situazione. Mi comunica cosa avrebbe detto alla bambina di 4 anni: “… qui attorno a te ci sono persone che ti vogliono bene e che non ti abbandoneranno”. Poi altre poche parole che ripetono il concetto che questa bambina non sarebbe mai stata sola, e che le persone si possono portare dentro. 

Benché apparentemente  presente  nel qui e ora, F. è in realtà ben immersa nel pathos del ricordo, nelle emozioni vissute che la invito a guardare ed a soffermarvisi.  F. afferma che la difficoltà della bambina nasce dal fatto che “a quell’età non ci sono ricordi”. Pur essendo un asserzione falsa scientificamente, annuisco lo stesso perché sento che questa comunicazione, seppur fatta con termini impropri, esprime una realtà interiore e cioè la difficoltà della bambina ad elaborare l’evento. Di quale difficoltà si tratta? Di quella rappresentata dal fatto di non avere rivisto i nonni morti? O della difficoltà di una bambina di quell’età di avere la capacità di portarsi dentro il rapporto con i suoi nonni e la loro figura?  Oppure ancora questa affermazione si riferisce al fatto che, a quell’età, l’esperienza è essenzialmente vissuta nel concreto e nel presente. Si possono fare solo delle ipotesi … 

In questo stato di lieve trance, in cui la paziente rivive le sue sensazioni ed emozioni relative all’incidente d’auto accaduto  verso i 4 anni,  e solo dopo che ha parlato del suo senso di abbandono e della possibilità di non riviverlo più, si presenta alla sua mente un ricordo nuovo che, questo sì, F. aveva ben rimosso. Si tratta di un ricordo molto più recente, solo di  due o tre anni fa.

Con la sua famiglia e insieme ad un gruppo di amici F.  partecipa ad una settimana bianca in montagna. Una sera, mentre il gruppo della famiglia e degli amici era a pattinare sul ghiaccio, sua madre scivola, batte la testa e perde coscienza. Benché sia rimasta in stato di incoscienza per pochi minuti, la madre venne portata al pronto soccorso da cui fu dimessa la sera stessa. F. mi dice che non si ricordava più di quel fatto. 

Noto che entrambi i fatti ricordati, quello che lei dice di avere vissuto a 4 anni e quello più recente a 14-15 anni, ripropongono lo stesso vissuto: all’improvviso, senza nessun preavviso, persone molto importanti affettivamente possono scomparire dalla propria vita e non esserci più.

Concluso quindi il lavoro di rievocazione e di rielaborazione, tornati nel “qui ed ora”,  fisso un appuntamento successivo a due settimane di distanza.

Dopo due settimane, la paziente torna e riferisce di non avere più avuto crisi di ansia. Chiedo di fare uno o due esempi, e dopo un po’ di ricerca riferisce che il sabato precedente i suoi genitori si sono assentati per il weekend, e che la mattina dopo si è accorta di non avere avuto problemi ad addormentarsi e si era svegliata tranquilla. Il fatto era stato vissuto con naturalezza e quasi non l’aveva notato.

L’intervento terapeutico si conclude con un breve colloquio con la madre, a distanza di quindici giorni, per comunicarle la conclusione della terapia della figlia.

Nel corso del colloquio, molto breve per la verità, la madre mi dice che la figlia le ha raccontato a grandi linee quello che era emerso la prima volta; osservo che F. ha fatto una ricostruzione di quanto emerso abbastanza corretta.  La madre ci tiene a precisare che all’epoca dell’incidente che causò la morte dei nonni, la figlia aveva tre anni e non quattro. Inoltre, sempre relativamente alla figlia, riferisce che ha sempre avuto un temperamento  un po’riservato e fin da piccola ha sempre manifestato poco  i suoi sentimenti  e le sue emozioni. E’ una informazione questa, sul  temperamento di F., che in parte coincide con quanto osservato e da tenere presente anche se andrebbe comunque meglio verificata.

Da allora, sono passati ormai alcuni anni, non sono state segnalate altre crisi di ansia di quel genere.


Alcune considerazioni in merito al rievocare e rielaborare nel caso di F. 

In ordine al rievocare e rielaborare, questo caso si presta bene ad alcune considerazioni. 

1.La prima considerazione degna di nota emerge dal fatto che l’evento traumatico, ovvero la scomparsa improvvisa, repentina e violenta dei nonni a seguito dell’incidente  automobilistico che è loro accaduto  non era mai stato dimenticato da F. In tutti questi anni, questo evento ha continuato ad essere ben presente alla sua coscienza.

2.Tuttavia, ciò che era presente alla coscienza della paziente era il solo dato razionale, mentre il vissuto emotivo associato all’evento era stato rimosso, anzi era stato inespresso e quindi più agevolmente rimosso. Il rievocare dunque, per essere l’inizio di un percorso psicologico che porta ad un mutamento interno, non può prescindere dall’elemento emotivo. Il rievocare si configura dunque come un rivivere le paure, le angosce, le emozioni vissute dalla bambina all’epoca dei fatti. Quindi rievocare un fatto equivale a riviverlo in tutte le sue componenti: cognitive, affettive, emotive, come, in questo esempio, le aveva potute vivere una bambina di 3 anni. 

3.La regressione di età, indotta con la trance, ha permesso di definire il significato esperienziale attribuito a quell’evento. L’osservazione e l’indagine delle emozioni vissute hanno evidenziato come, per quella bambina di soli 3 anni, l’incidente d’auto in cui morirono i nonni al quale lei era molto affezionata, fu un evento brusco, non mediato, inspiegabile che equivalse ad assumere come verità incontrovertibile del suo essere nel mondo l’esperienza del possibile repentino abbandono. Vale a dire che, in ogni momento, di punto in bianco, una esperienza affettiva importante, che all’epoca dei fatti rappresentava il suo mondo, poteva essere persa per sempre, in modo definitivo ed irreparabile.

4.Questa “verità” angosciosa, frutto dell’immaturità cognitiva ed affettiva di una mente di tre anni, è stata in qualche modo rimossa dalla paziente per tutti questi anni e, apparentemente ben compensata: ciò non le ha impedito infatti di avere una vita di relazione senza apparenti difficoltà o disagi. Ma poi questa minaccia, con il suo corollario di angoscia, è stata rievocata pochi anni fa dall’incidente occorso alla madre durante una serata a pattinare sul ghiaccio con degli amici. E’ stato questo secondo evento a riattivare il trauma originario, dando luogo alle paure e alle crisi di ansia in occasioni di “assenza” dei genitori.

5.Fino al momento della rielaborazione, il problema del possibile ripetersi del trauma dell’abbandono rimaneva incombente. Con l’intervento di “F.-grande”, con le sue parole ed il suo Sentire, la paziente comunica alla bambina – e dunque a se stessa – un’altra possibilità, un'altra visione del suo essere nel mondo che le permette di superare la paura dell’abbandono.

6.A tale proposito, è interessante osservare che solo dopo la rielaborazione del suo senso di abbandono, diventa disponibile alla coscienza di F. il ricordo del secondo evento traumatico, quello che coinvolse sua madre.

7.E’ importante osservare, anche in questo caso, la natura del significato attribuito all’evento traumatico. Non si tratta di un semplice fatto cognitivo ed emotivo, ma di un significato di natura esistenziale, che coinvolge tutto l’essere nel mondo della paziente. Ed è altresì importante notare il genere di rielaborazione che F. compie perché, attraverso le parole “… non sarai abbandonata …”  avviene una ristrutturazione della sua visione – inconscia – di che cos’è la vita, del suo destino, ecc.. Vale a dire che cambia la sua “Weltanschauung”, cioè cambia la sua rappresentazione di lei nel mondo, di com’è il mondo e di come il mondo funziona.

8.Vale la pena di sottolineare come la rielaborazione è tanto più efficace in quanto non la elabora il terapeuta, né la propone, ma è frutto di una capacità della paziente di attivare delle proprie risorse e di attingere alle proprie esperienze. Nella rielaborazione con l’intervento di “F.-grande” si realizza la posizione di Erickson secondo la quale, “Ciascuno di noi ha il proprio linguaggio individuale, e quando ascoltate un paziente, dovreste ascoltarlo con la consapevolezza che sta parlando un linguaggio diverso, che non dovreste cercare di comprendere nei termini del vostro linguaggio”.

9.Proprio questa ultima considerazione porta ad osservare come, nell’approccio clinico che usa il fenomeno fisiologico della trance, ci si trovi ogni volta dinanzi ad una realtà fenomenica ed esistenziale che va oltre, che trascende ogni teoria psicologica, la quale tende ineluttabilmente a ridurre l’evento psicologico all’interno dei limiti del proprio paradigma teorico.


10.Proprio come afferma Erickson, è il mondo interiore del paziente che fa il lavoro. L’approccio Ericksonian è innanzitutto un metodo basato sulla attivazione delle capacità del paziente di trovare in sé le risorse per la soluzione delle proprie difficoltà. Non spetta al terapeuta essere colui che dà la risposta, o l’uomo saggio che capisce il paziente: “Ogni persona possiede il proprio modo singolare in cui vive. Non si può chiedere al paziente di rinunciare al proprio mondo fenomenologico e di adottare quello di un altro. E’ solo possibile aiutarlo a lavorare all’interno del suo mondo.”

In sintesi, questo caso illustra, a mio parere, come l’uso della trance e della possibilità di rievocare e rielaborare un evento “traumatico” della storia della persona permetta, in modo incisivo e durevole, di rintracciare l’origine di un disagio psicologico attuale, di agire quindi sulle cause del disagio e di riorganizzare/trasformare il modo di essere della persona, il suo atteggiamento cosciente e questo attingendo a risorse e “verità” del suo proprio mondo interiore.