Rievocare e rielaborare


Rievocare e rielaborare



Fin dagli  “Studi sull’isteria” di Breuer e Freud  (1892-1895), l’attività clinica in campo psicologico ha dato grande rilevanza  alla rievocazione del trauma o fatto traumatico.


A questo proposito si possono menzionare i concetti di “abreazione” e di “catarsi”, usati nei primi lavori di Freud e  Breuer.


L’abreazione è definita come una scarica emozionale avente una funzione catartica, cioè liberatoria. Al soggetto veniva fatta rivivere emotivamente la situazione o l’evento che era all’origine della malattia e nel rivivere il soggetto dà libera espressione a tutta l’emozione legata all’evento passato e la cui rimozione aveva provocato il sintomo. In quel contesto l’ipnosi era la tecnica attraverso la quale rievocare l’evento morboso richiamarlo alla coscienza e quindi era il mezzo che consentiva di rievocare e rivivere situazione traumatica prima rimossa.


   

Attraverso la rievocazione dell’evento traumatico prodotta inizialmente attraverso l’ipnosi, un individuo può incanalare e portare a coscienza desideri, pensieri ed esperienze rimosse in precedenza perché il loro contenuto non poteva essere accettato apertamente dal soggetto, che le aveva ritenute in passato,  in qualche modo, pericolose per il suo Io. Ciò accade quando le cognizioni ed emozioni collegate al fatto traumatico sono,  in quel momento, superiori alle capacità del soggetto di gestirle e/o  di integrarle nella propria psiche nel proprio vissuto.


L’effetto liberatorio del recupero di particolari pensieri o ricordi biografici, che erano stati rimossi dalla coscienza, perché ritenuti inaccettabili o pericolosi per essa, è stato definito da Freud e Breuer “catarsi” e il loro metodo di cura fu inizialmente chiamato metodo catartico. In questo modo si riteneva che il soggetto riuscisse ad accettare i contenuti prima rifiutati, favorendo di per sè quindi la scomparsa dei sintomi psicopatologici che avevano accompagnato la rimozione dei contenuti disturbanti, ovvero favorendo la guarigione.


L’esperienza clinica indusse successivamente Freud a rivedere il suo concetto di evento traumatico ed a sostituire la rievocazione di fatti traumatici mediante l’ipnosi, con il metodo delle libere associazioni.


L’evento traumatico, inizialmente ritenuto un fatto realmente accaduto, fu in seguito concepito da Freud come espressione di fattori soggettivi, come desideri e fantasie inconsci, piuttosto che dovuto al fatto in sé, come accadimenti di natura  obbiettivamente gravi o straordinari.


 

Con l’abbandono del metodo catartico e la nascita del metodo delle libere associazioni, non viene meno l’importanza della rievocazione di fatti o esperienze traumatiche nel trattamento della nevrosi. Tuttavia nell’approccio freudiano la ricerca dell’evento da rievocare, alla base del sintomo, si sposta dal piano storico-biografico del paziente al piano relazionale dell’analisi e dell’interpretazione del transfert. E’ in effetti nel transfert con l’analista che, secondo Freud, si riattualizza il trauma, ovvero i desideri e le pulsioni infantili rimossi e l’intervento interpretativo dell’analista è un atto di fondamentale importanza per portare a coscienza le motivazioni e le pulsioni inconsce.


E’ dunque alla presa di coscienza del contenuto disturbante o patogeno che, nella psicoanalisi freudiana, è affidata la risoluzione del sintomo, la “guarigione”, in quanto tale presa di coscienza dovrebbe di per sé bastare per un mutamento dell’atteggiamento cosciente del paziente.


Anche nell’approccio junghiano, al centro della cura, c’è la presa di coscienza dei contenuti inconsci. In questo caso il principio guida della terapia è il principio di “individuazione” , che mira a portare il paziente ad integrare progressivamente nella sua personalità i contenti dell’inconscio per giungere ad essere ciò che egli è. L’interpretazione del materiale psichico che il paziente porta nelle sedute non avviene solo in base alla sua storia infantile, ma tale materiale è letto come espressione di archetipi appartenenti all’inconscio collettivo. In questo caso è necessario, secondo Jung, che il terapeuta abbandoni il metodo interpretativo analitico-riduttivo dei simboli e dei contenuti psichici, per trattarli anagogicamente e sinteticamente e questo implica adoperare, con il paziente, un procedimento dialettico.


 

In questa ottica la retrospezione e l’introspezione sono incoraggiate poiché per esse passa, mediante il lavoro interpretativo e il rapporto dialettico con il terapeuta, la possibilità di accedere alla propria creatività.


Osserviamo che nell’approccio formulato da Jung  vi è dunque l’idea di portare il paziente a rielaborare la propria esperienza, ma, come si può desumere da queste brevi note, si tratta di un lavoro interpretativo ad ampio raggio, incentrato più sui contenuti e simboli che sono fatti emergere dall’inconscio, che non sull’esame del vissuto relativo a fatti ed eventi ben determinati.


In generale potremo dire che la psicologia dinamica si prefigge, come impostazione di fondo, l’intervento sulle cause e le origini remote del disagio e della patologia psichica, che tiene conto dell’insieme della persona, con l’intento di compiere un lavoro radicale e durevole.


Tuttavia, questa impostazione, seppur pregevole, e per molti aspetti inevitabile, tende a mio avviso a sottovalutare l’importanza, anzi la necessità nella pratica clinica, del momento della rielaborazione di   fatti ed eventi cruciali della propria vita successivamente alla loro reivocazione.



Per rielaborazione intendo l’atto di concepire, sentire, vivere emotivamente in modo diverso il fatto o l’evento traumatico. Questo è possibile facendo appello a capacità psichiche, di pensiero, di esperienza che il paziente ha maturato nel corso della sua vita, secondo i suoi bisogni ed il suo proprio modo di essere. Il piccolo dell’Uomo, per via della sua immaturità alla nascita affronta le sue esperienze di vita con un bagaglio veramente molto limitato di risorse. Poi egli cresce, c’è la maturazione intellettiva ed emotiva, ci sono esperienze nuove, che equivalgono a nuove risorse e nuove possibilità di pensiero, ma per l’essere umano non esiste un qualche meccanismo che assicuri automaticamente alle memorie di eventi passati (traumatici)  un “aggiornamento del loro significato emotivo” sulla base delle nuove risorse acquisite con la crescita e l’esperienza.


Questo "aggiornamento" è un compito evolutivo che spetta proprio all'adulto. 


Questo gesto porta ad una trasformazione interiore e, per quanto riguarda l’evento traumatico alla perdita del suo significato traumatico. Dalle mie osservazioni, per quest’ultima via, vale a dire rievocando e rielaborando specifici eventi traumatizzanti, attingendo alle risorse e alle capacità proprie del paziente, si può raggiungere un profondo, radicale e durevole mutamento dell’atteggiamento cosciente della persona.


Nei casi clinici presenti in questo sito  vedremo infatti come la possibilità di rievocare un fatto cruciale avvenuto nel passato, e poi di rielaborarlo con  abbia permesso di rintracciare l’origine di un disagio psicologico attuale e di agire quindi, attraverso la rielaborazione, sulle cause remote del disagio.


 

Lungi questo dall’essere un intervento solo sul sintomo, il momento della rielaborazione ha corrisposto ad attivare nel paziente capacità e risorse proprie generando quindi un mutamento dell’atteggiamento cosciente della persona.


Mutamento che si  dimostra durevole.


È da sottolineare che questo mutamento per essere valido e reale non può che avvenire per  via maieutica, proprio in quanto, come afferma M.H.Erickson, “la terapia consiste nel fare sì che un paziente usi i suoi propri processi”.