Neotenia


NEOTENIA



Spesso, le persone,  per il fatto di dovere affrontare una psicoterapia oppure più genericamente, per il fatto di dovere richiedere aiuto ad un esperto, si sentono in difetto, come in colpa, per non essere “abbastanza capaci” come gli altri. A sentire queste persone, che sono la maggioranza, ci vuole quasi un atto di coraggio per fare il passo di rivolgersi ad uno psicoterapeuta.


Innanzitutto devo dire che, in effetti accingersi ad un lavoro psicoanalitico e comunque ad un lavoro psicologico richiede coraggio: il coraggio di affrontare un viaggio, una esperienza personale alla scoperta di se stesso e  per molti la paura di essere "messi a nudo", la paura di  sentirsi esposti,  di vedere parti nostre che  non  conosciamo  può veramente essere  una paura difficile da affrontare. 


Ma soprattutto occorre dire che NON È POSSIBILE essere esenti da sofferenze e dolori, da nevrosi e vissuti traumatici. Così come non è possibile essere genitori perfetti, figli perfetti, adulti perfetti. Con felice intuizione a Napoli si dice che “non si nasce imparati”.


In altre parole il passaggio per un lavoro di conoscenza di sé, in età adulta, è un  vero e proprio compito evolutivo proprio dell’età adulta, se si vuole raggiungere un certo equilibrio interiore e liberarci da “pesi” e “fardelli” vari che sono di intralcio alla nostra vita.


Per comprendere questo stato di necessità occorre introdurre il concetto di “neotenia”


NEOTENIA


L’uomo è un animale neotenico.


Il concetto di neotenia (dal gr. νέος "nuovo, giovane" e τείνω "tendo") deriva dalla biologia dello sviluppo e denota la conservazione negli adulti di una data specie, di caratteristiche fisiologiche e morfologiche proprie del periodo giovanile.

In altre parole l’esemplare della specie neotenica viene al mondo fortemente immaturo e conserva per tutta la sua vita caratteristiche del periodo larvale o giovanile: i tratti primari fetali sono conservati nel periodo adulto.

Oggi per neotenia intendiamo un ritardare, un trattenere i tratti fetali nella vita adulta.


Questi fenomeni sono stati osservati originariamente presso alcune specie di insetti e di anfibi e  si deve all’olandese Lodewijk Bolk (1926) l’estensione di questo concetto all’uomo arrivando a definire l’Uomo come “un feto di primate divenuto sessualmente maturo”. Nell’uomo, ad esempio la flessura cranica, tratto tipico del feto delle australopitecine, per il quale il viso è orientato in una direzione ad angolo retto rispetto all’asse del corpo, viene conservato nell’uomo adulto.  La scatola cranica non saldata al momento della nascita, l’assenza di peli nel neonato, o la debolezza ed immaturità dell’apparato muscolare sono marchi di neotenia nella specie umana, come il fatto che gli adulti umani presentano proporzioni corporee più simili a quelle giovanili rispetto agli altri primati. Nella scimmia Rhesus e nel gibbone il 70% della crescita cerebrale è raggiunto al momento della nascita ed il resto è completato entro i primi sei mesi mentre nell’uomo la crescita completa del cervello non è raggiunta fino alla fine della seconda decade di vita.


Già nel  1923 Haldane aveva  osservato che la conservazione di caratteristiche infantili ha permesso all’uomo di perdere molti dei suoi tratti animaleschi e, nel 1940, Gehlen nota come alla nascita, il piccolo dell’uomo è quindi molto più immaturo delle altre specie, inclusi i primati.


Il cervello umano più voluminoso rispetto agli altri primati, in rapporto a un canale del parto più stretto per il passaggio del neonato per via della posizione eretta, sembra avere determinato, come soluzione evolutiva, l’immaturità cerebrale dell’infante umano al momento del parto. Soluzione che permette al neonato di passare attraverso il canale ridotto, ma che determina una serie di conseguenze molto importanti per la nostra specie.


La profonda immaturità dell’essere umano al momento del parto, unita alla conservazione dei tratti fetali e giovanili per tutto la vita, ovvero non portare a compimento il processo di maturazione (protogenesi)  e di specializzazione e hanno implicazioni antropologiche, psicologiche e filosofiche profonde.


La neotenia rappresenta la base filogenetica dell’indeterminatezza, delle potenzialità e della non specializzazione umana.


L’animale umano sarebbe quindi più povero degli altri animali. Tale povertà consiste anzitutto in alcuni “primitivismi” organici e in deficit di istinti specializzati. L’uomo in effetti non ha istinti (se per istinto si intende un codice di comportamento complesso trasmesso alla specie con il DNA, invariabile per tutti gli individui della stessa specie e invariabile attraverso le generazioni) e quindi non sa  mai, a priori, cosa deve fare; deve invece deciderlo tra sé e con gli altri: a questo serve infatti il linguaggio ed il pensiero.


A tale proposito Gehlen già nel 1940 sosteneva che una caratteristica sostanziale degli esseri umani è la loro capacità di continuare ad evolversi senza fine, perché biologicamente determinati da carenze organiche ed inadattamenti biologici: la loro peculiarità è la non specializzazione, la versatilità, e quindi la creatività. Per Konrad Lorenz la continua interazione creativa con l’ambiente è costitutivo della natura neotenica dell’uomo .


L’intelligenza neotenica che deriva dalla nostra immaturità alla nascita e dal conservare per tutto lo sviluppo le caratteristiche fetali (per esempio la plasticità neuronale)  è quindi ciò che permette di mantenere per tutta la vita la capacità di essere creativi  (elaborare in modo creativo i dati dell’esperienza) e permette al genere umano la peculiarità di assenza di adattamento ad un ambiente specifico.


L’immaturità alla nascita, rispetto alle altre specie, inclusi i primati, l’assenza di adattamenti biologici e di istinti specializzati spiega il suo bisogno di apprendimento ininterrotto: a un’infanzia cronica corrisponde un cronico inadattamento a cui l’uomo risponde con un prolungato periodo di accudimento, un’infanzia più prolungata e un più lungo rapporto di dipendenza dagli adulti così come spiega la necessità di agenzie formative per abilitarlo alla vita adulta: il clan, la famiglia, la scuola, ecc... Ciò che rende l’individuo della specie abile alla vita adulta non è acquisito principalmente attraverso un set di istinti innati ma attraverso un lungo periodo di accudimento, di educazione e di trasmissione di strumenti sociali e culturali. La cultura, nel senso più ampio del termine, è dunque una compensazione innata delle lacune della nostra specie: ecco perché per Gehlen (così come per Pascal) essa «è la prima natura dell’uomo».


Quali sono le conseguenze di questo fatto sull’uomo?  Sono tante, poiché essa determina la base biologica su cui si fonda la nostra vita. Vediamone alcune:


1. La prima conseguenza della immaturità alla nascita è una fase di accudimento e di allevamento che si protrae per anni, una radicale e profonda dipendenza del bambino al mondo degli adulti  per anni che lo espone a tutte una serie di abusi: sessuali, fisici, emotivi ed affettivi, da cui egli non si può difendere nè proteggere.  Abusi che sono molto più frequenti di quanto possiamo pensare.


2. In questa fase iniziale della sua vita l’essere umano è necessariamente “invaso” da contenuti emotivi e culturali che egli non si è scelto e da cui non si può difendere. Per fare un esempio il lattante viene allattato e svezzato in base alle convinzioni più o meno razionali della madre, del pediatra, di ciò che propone l’industria alimentare per i neonati, ma non viene mai interrogato sui suoi gusti e sui suoi bisogni: non ha la maturità mentale (di linguaggio e di pensiero) per esprimersi in tale senso e quando da evidenti segni mostra di non gradire quella pappa che la mamma gli ha preparato si può sentire dire “E’ buona, ti fa del bene e te l’ho fatta con tanto amore!” . Quindi, molto precocemente, questo bambino imparerà  a rimuovere le sue  sensazioni ed i suoi  bisogni a favore di schemi e di atteggiamenti “imposti” o inculcati dall’esterno. Eppure dall’osservazione precoce del neonato si può già osservare che egli ha i suoi gusti e le sue esigenze e che queste differiscono da individuo ad individuo.


3 . Una ulteriore conseguenza della profonda immaturità alla nascita e dell'assenza di schemi  mentali, cognitivi e comportamentali   già predefiniti sono i problemi di disturbi della personalità, dei problemi narcisistici, dei bisogni di accettazione e di "dimostrazione"...


4. La fluidità degli schemi e delle operazioni mentali, l’assenza di adattamenti biologici e di istinti specializzati, la necessità di una trasmissione di elementi culturali al posto di pattern comportamentali ereditari ha tuttavia  favorito l’emergere del linguaggio come capacità di creare significati, dell’immaginario e di quello che si chiama “mondo interiore”. Anche i primati più vicini all’uomo sono capaci di utilizzare degli strumenti rudimentali come dei pezzi di legno per avvicinare a se del cibo, ma quello che contraddistingue la nostra specie è che, dopo poco tempo, l’uomo tenderà ad apportare a quel pezzo di legno delle decorazioni, dei segni, a introdurvi una dimensione artistica e personale.


Si tratta di un mondo di contenuti mentali, emotivi, che rimane in gran parte inconscio per tutta l’esistenza, senza un accesso diretto alla coscienza a meno di un lavoro specifico mirante ad imparare a entrare in ascolto ed in relazione - almeno parzialmente - con queste parti interiori.

Il "lavoro" in questione può essere di natrura varia: analisi, meditazione,   studio, riflessione,  ecc... ma è un compito che non potrà mai  essere assolto senza un impegno cosciente.


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